Secondo il 20° Rapporto nazionale sulla sperimentazione clinica dei medicinali in Italia, pubblicato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), nel 2023 sono stati condotti complessivamente 5.217 studi clinici in Italia: il 30% erano studi di fase I, il 25% di fase II, il 35% di fase III e il 10% di fase IV.
A farla da padrona è stata l’area oncologica, per la quale sono stati sviluppati il 40% degli studi italiani, sebbene, secondo l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), siano fortemente diminuite le sperimentazioni accademiche e non profit nel campo oncologico.
La riduzione degli studi no profit, confrontata con il decennio 2009-2019, risulta nell’ordine del 50% circa (da 309 a 156 studi) e si è confermata anche nell’ultimo triennio, fino al dato più preoccupante del 2022, che è stato l’anno con il numero di studi no profit più basso dal 2000 a oggi (solo 98 studi).
È ben noto che l’Italia investe una percentuale relativamente bassa del suo Pil in ricerca e sviluppo, appena l’1,5%, rispetto alla media dell’UE del 2,1%. Di questa cifra, solo il 10% è destinato al settore della salute: il 10% degli investimenti è di natura no profit, mentre il restante 90% proviene da fonti private, ammontando a 750 milioni di euro all’anno.
Il “Manifesto” della Fadoi del 2023 sottolinea che il declino degli studi clinici indipendenti rappresenta un problema serio e tangibile nel panorama della ricerca clinica in Italia. L’attuale tendenza vede un predominio degli studi promossi dalle entità industriali a scapito di quelli no profit.
Questo spostamento verso la ricerca condotta dalle aziende, sebbene legittimo, può comportare una visione distorta dei benefici dei prodotti farmaceutici. La ricerca clinica indipendente in Italia è vincolata da diversi fattori che ne ostacolano lo sviluppo e l’efficacia.
Tra i principali nodi critici figurano la scarsità di risorse finanziarie e umane, insieme all’eccessiva burocrazia che rallenta i processi e mina l’efficienza.
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